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Quando andavo in moto mi hanno sempre appassionato le gare di endurance; 6 ore di Sebring, 24 ore di Les Mans, fari nella lunga notte, tutte cose che mi affascinavano.

Ho smesso di andare in moto ma le gare di durata non hanno mai smesso di attirarmi. E quest’anno sono stato trascinato da Stefano a fare una 24 ore sì, ma con le biciclette.

Si tratta della 24h più conosciuta e famosa in Italia; una gara che attrae anche quelli che a fare cross-country mai ci penserebbero, associando la disciplina a sterratoni privi di tecnicità, salite estenuanti, biciclettina esili esili, poco divertimento e molta fatica. La 24h di Finale però è qualcosa a sé nel panorama cross-country.

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Lo spirito non è quello epico che io ho sempre associato a gare che durano un giorno intero; c’è una quantità di burloni in giro e un’atmosfera da sagra paesana che impedisce di pensare a nuove Odissee che avverranno durante questa due giorni. Il motivo è che la maggioranza dei 2000 partecipanti sono in squadre da 8, che significa una media di 3 turni ogni 8 ore, qualcosa che anche chi non è molto allenato riesce a fare; e sopratutto mancano i solitari che hanno fatto la loro gara la settimana prima e che arricchirebbero l’atmosfera con il loro passo più ponderato e la fatica elevata alla quarta che emana dai loro occhi.

Riguardo il sottoscritto, l’essere in un team da 8 con bici raccattate in giro, scarsa organizzazione e tabelle portanumero “FUN” contribuisce ad alleviare lo spirito agonistico e non mi costringe a un impegno al di là del mio attuale stato di forma; insomma, posso prendermela comoda senza attirarmi le ire dei miei compagni di squadra.

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Giulia col pancione e una vecchia bici da “endurance”.

Ma poi arriva il primo turno e dopo neanche 5’ sono già con il cuore a mille e mi chiedo come diavolo faccio ad arrivare fino in fondo; fare anche solo cinquecento metri tra tende e persone che urlano (forse ti incitano, forse chiedono a gran voce un’altra salsiccia, non so) ti costringe a pestare sui pedali manco fosse una sprint — e tu un atleta vero.

Poi ci si mette anche il tracciato, perché a Finale il cross-country ha tutt’altra accezione (ed è questo che attira anche quelli che amano i percorsi tecnici); dopo i cinquecento metri tra accampamenti e tendoni si arriva nel bosco dove c’è una sequenza di divertentissimi saliscendi, curve e controcurve da guidare (ma guidare sul serio!), rampette spaccafiato, e sopratutto bastardoni allenatissimi che appena c’è da pedalare si mettoni dietro con l’alito da salsiccia sul collo (per la verità la maggior parte di quelli che mi passavano con tale facilità erano scattanti e magrissimi alieni, niente grigliate miste per loro!).

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Un divertimento tale che mi passa quasi il fiatone; dopo questa parte di sottobosco si rientra sui pratoni dell’accampamento per qualche istante e poi si prende la sterrata in direzione Semaforo/Capo Noli che porta all’imbocco della DH donne; qui c’è finalmente un tratto in discesa pietroso che conosco bene e che faccio il più forte che posso, con la biciclettina che scarta e s’imbizzarrisce; poi invece di scendere a destra verso Varigotti si torna su per un lungo tratto a mezzacosta, pedalato e stupendo, con l’occhio che accarezza il mare lì sotto e sogni una immersione profonda per levarti tutta la polvere di dosso… già, la polvere di questi alieni con le gommone grosse che se ne fottono della poesia e del mare e mulinano le loro gambe depilate come ossessi e mi bruciano tutti lasciandomi nel polverone.

Continuano i saliscendi, si entra nel bosco, poi si riesce, e poi dopo altri due tratti duri in salita in cui scendo al volo dalla bici per spingere, finalmente il miraggio dell’ultima salitina del Bric dei Crovi, ed ecco il bellissimo Toboga che non ha mancato mai in tutti e quattro i turni di farmi felice.

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Il cross-country è fatica…

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…ma nessuno me l’aveva detto.

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Polverone.

Inaspettatamente trovo gente tranquilla, senza l’eccessivo ardore agonistico che un pó stona tra chi ci si gioca il duecentesimo posto (e che pare sia più comune nel cross-country) — tranne un cretino che ha l’ardire di mettersi dietro di me poco prima della seconda discesa sul Toboga e mi grida da dietro “hop-hop-hop” per passare, senza averne assolutamente le capacità (infatti, dopp averlo fatto sfilare me lo trovo schiantato a terra all’uscita della selletta, poco prima di entrare nel ‘motodrom’; altri mi racconteranno di un improbabile sorpasso, opera sempre dello stesso campione, avvenuto poco dopo il mio passaggio).

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Decompressione tra un turno e l’altro. Inizia la pioggia.

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Preparativi.

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Cala la sera. Stefano lascia l’accampamento.

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Arriva il momento di accendere i fari.

Dopo il primo turno riesco a regolare il motore, registro le sospensioni, avvito e svito i polmoni, prendo un ritmo più intelligente perché so dove posso riposare, dove devo spingere, e dove posso guadagnare e mi diverto ancora di più negli altri turni. Ne faccio quattro in totale, il più emozionante senza dubbio quello delle 4 del mattino; sveglia durissima, voglia di andare in bici dura a farla venire, freddo e sopratutto uscire dal camper con la pioggia mette a dura prova la mia voglia.

Per fortuna, mentre aspetto il mio turno, la pioggia cessa, e penso al grande Stefano che si sta facendo il secondo turno consecutivo godendosi un temporale micidiale. Cosa che spingeva tutti quelli che rientravano alla fine del giro a urlare ai compagni di stare attenti che si rischiava seriamente di morire, annegati nel fango o qualcosa di simile; l’italiano è sempre melodrammatico nelle sue esternazioni, specie in presenza di un pubblico di poveracci che si sono appena svegliati nel mezzo della notte per andare in bicicletta e che avrebbero gradito qualcosa di più incoraggiante dai compagni.

Fortunatamente Stefano è tosto e quando lo vedo arrivare perdo 20 millisecondi per salutarlo ma lui mi urla di partire cazzo! E io cazzo parto a razzo, mi dimentico tutta la pioggia e mi sveglio di botto, guido nel sottobosco umido bruciando le piante coi potentissimi led che sparo a tutta; divertendomi insomma, pensando che dopo tutto non si guida così male sull’umido (tranne sbrecciarmi su un ponticello di legno in salita dove giudico male il grip).

Dopo venti minuti circa, uscito dal bosco e andando verso il tratto che dà sul mare, mi accorgo che non sono io a guidare in stato di grazia ma è il terreno che ha drenato perfettamente e non si scivola quasi più; le Maxxis Svantage 2.1 si trasformano in Advantage e la vista che si gode nel tratto lungo il costone di montagna è splendido; giù si intravede il mare, sullo sfondo le luci della costa, e lungo il sentiero tanti lucini che arrancano su a fatica.

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Nonostante ci sia poco tempo e voglia di scambiare parole con gli altri compari corridori, nonostante quello davanti a te è sempre invariabilmente un bastardo che devi prendere e castigare, mentre quello che ti supera uno sfigato che passa tutta la sua vita sui rulli (a meno che non ti superi in discesa, e allora è colpa della bici), nonostante tutto questo insomma un briciolo di amore universale ti prende per quei lucini che indicano la presenza di un essere umano magari con un cuore anche lui, che come te sta su una dannata bici ad ore improbabili a pedalare senza che nessun medico gliel’abbia prescritto (l’amore universale svanisce appena riesci a raggiungere il bastardone e a castigarlo, naturalmente).

considerazioni tecniche

Ho fatto la gara con la mia vecchia Merlin da cross country, una bici da pochi soldi che comprai forse dieci anni fa in Inghilterra, e che ha goduto di ben poche attenzioni nel corso del tempo. Gli ultimi aggiornamenti sono stati una forcellina Rock Shox Recon da 100mm, presa di seconda mano, dei pedalini a sgancio rapido Crank Bros che però non sono mai arrivati in tempo per la gara (quindi ho dovuto usare i flat, sarò stato tra i pochi lì con pedaloni e scarpe Five Ten da freeride) e un cambio posteriore Alivio a 8 rapporti che comandava il pacco pignoni da 9, montato la settimana prima dai grandi smanettoni della Stazione delle Biciclette.

Il prossimo anno penso di usare lo stesso mezzo visto che si è comportato benissimo; avrò finalmente i pedalini a sgancio rapido che un pizzico di aiuto te lo danno, e magari, crepi l’avarizia, anche un treno di gomme nuove! Magari potrei provare delle gomme leggermente più scorrevoli come le Kenda Small Block 8 o Maxxis Crossmark.

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Se va in porto il progetto della mia 29” da commuting/allenamento (ispirata alla Genesis Fortitude e plasmata sulle forme della Locomotive LSDB), potrei anche azzardarmi a usarla sui terreni di Finale. Sarà una rigida completa quindi devo vedere se e quanto mi frena rispetto alla 26” ammortizzata.

Le bici più comuni di quelli seri sembravano essere le 29” con forcella ammortizzata, ma c’era anche qualche 29” rigida; parecchie full, sopratutto quelle leggerine, e anche qualche bici da enduro vera e propria. Insomma un po’ di tutto. Durante uno dei miei turni ho anche arrancato dietro ad un tizio con uno spirito grosso così, visto che guidava una 29” singlespeed.

La bici più bella: la 29” del mio compagno di squadra Stefano, che se l’è comprata di seconda mano pochi giorni prima della gara; una FRM tutta in carbonio davvero bella e proporzionata (mai avrei pensato che una 29” potesse risultare bella ai miei occhi!).

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Stefano alla partenza del suo secondo turno, sgomma e impenna sulla rampa iniziale.

Per il prossimo anno, sicuramente dovrò essere più allenato sopratutto se riusciamo a fare una squadra da 4 (significa due turni consecutivi, cosa che quest’anno non sarei stato in grado di fare). Pensando all’allenamento però, e confrontando i miei tempi con quelli del mio riferimento (Stefano, che so quanto duramente si allena durante tutto l’anno) mi chiedo: ma quanto vale 5 minuti di differenza sul giro? Vale davvero tutta la fatica e il tempo ‘sprecato’ in allenamenti nell’hinterland milanese in condizioni climatiche miserabili? Tenendo conto che a me piacciono ed entusiasmano le giornate lunghe e lunghissime in montagn e non mi spaventano due o tremila metri di dislivello al giorno, ma 40km su strade dritte e con le pantegane che ti tagliano la strada, quello sì.

tempo rider note
48‘01” Stefano giro 1, partenza da fermo
41‘39” Stefano giro 2
45‘48” Stefano giro 3, notturno
49‘42” Stefano giro 4, notturno+fango
45‘33” Stefano giro 5
47‘44” aadm giro 1
49‘59” aadm giro 2
52‘05” aadm giro 3, notturno
46‘21” aadm giro 4

altre foto

Una selezione qui di seguito, tutte le altre foto sono su flickr.

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