Ho lasciato Bari tanti anni fa. Resta la mia citta’ adottiva, e quando ci ritorno una volta ogni tanto, mi piace girovagare senza meta, incontrare vecchi amici, sentire la brezza marina, riscoprire situazioni e luoghi che non sono cambiati chissa’ quanto.
Durante una delle mie ultime visite intorno a Marzo 2017, mi impegnai a portare la macchina fotografica1 dietro e ritrarre quelle che potevano sembrare oggettivamente come banali scene di vita quotidiana.
Dopo diversi mesi di segregazione nei remoti meandri del mio database, ho ripreso in mano questi scatti e ho avuto la sensazione che fossero piccoli, sinceri quadretti del quotidiano di Bari; nulla di piu’, nulla di meno.
La mia idea originale era ben piu’ ambiziosa; avrei voluto creare una serie coerente che raccontasse la mia citta’ dalla A alla Z, ma questo piano falli’ miseramente durante la stessa esecuzione.
Avrei probabilmente dovuto fare un po’ di pianificazione e non semplicemente vagare a piedi sperando che fortunate coincidenze mi facessero vedere quello che neanche io sapevo di cercare.
Fotografare a casaccio funziona quando sono in vacanza in qualche posto nuovo; vedo con occhio nuovo, avido, e pur se mi illudo di fare qualcosa di nuovo e originale (vedi Cuba, ad esempio) alla fine provo soddisfazione anche solo per la riuscita tecnica di questi scatti; e riguardandoli a distanza di tempo, hanno il potere di trasportarmi in luoghi o situazioni uniche.
Quando invece sono in luoghi familiari devo combattere la noia e la voglia di far vedere ad altri cosa trovo di speciale in una citta’ di cui odio probabilmente la maggioranza delle cose.
Ecco cosa ho mancato di fotografare: il sole acceccante di inizio Marzo, i panorami urbani squallidi ma allo stesso tempo ricchi delle zone periferiche della citta’, l’odore del mare che ti assale quando sbarchi a Palese, le file di immigranti fuori della Questura, i baresi stessi, tutti impossibilmente superbi e vanitosi e impossibili da impressionare.