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Partiamo alle 6 da Milano, io e Luigi. Il programma e’ di fare un canale di neve e ghiaccio sul Grignone; il canale ovest, di cui abbiamo raccolto qualche informazione su internet e sopratutto un resoconto di prima mano dal mio collega Fabrizio. Le difficolta’ sono di massimo II grado su roccia, e pendenze fino a 50 gradi su neve (grado AD alpinistico). Le due picche e i ramponi sono d’obbligo quindi; Luigi ha il materiale da cascate (picche ricurve cazzute e forconi dritti sui ramponi), e presta a me la sua picca Grivel con becca aggressiva, che fara’ il paio con la mia Camp da alpinismo classico.

Si parte dal rifugio Cainallo, poco sotto il Vo’ di Moncodeno, dove arriviamo verso le 7.30; ci sono gia’ gruppetti di scialpinisti e alpinisti che si preparano per le loro salite. Percorriamo il classico sentiero che avevo gia’ fatto d’estate per raggiungere la vetta del Grignone lungo la cresta di Piancaformia; abbiamo compagnia per tutto questo tratto fino a che non svoltiamo sul lato ovest della cresta, seguendo le indicazioni per il rifugio Bietti. Oltrepassiamo il bellissimo arco di Prada e continuiamo il sentiero ormai in piano fino al Bietti. Sul sentiero troviamo piu’ neve che terra, e io mi accorgo di una fastidiosa mancanza di grip degli scarponi Lasportiva comprati ai saldi; reale mancanza di grip o poca dimestichezza con la neve da parte mia ?

Arrivati al Bietti proseguiamo oltre seguendo le indicazioni per la via del caminetto, su bellissimi pendii innevati; il panorama e’ splendido, reso ancora piu’ prezioso dalla solitudine in cui ci troviamo. Appena il pendio si fa piu’ sostenuto mi fermo subito per attaccare i ramponi; Luigi prosegue senza.

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Tra una nuvola e l’altra individuiamo subito il canale, grazie anche ad una foto scaricata da internet dove e’ tracciata la via. Si vede chiaramente l’insenatura disegnata da due speroni rocciosi, immediatamente a nord della vetta del Grignone, con un canalino di neve che si arrampica li’ in mezzo, e una chiara balconata che lo delimita superiormente.

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In realta’, da qui sotto, quello che si vede bene sono solo questi ultimi cento metri del canale, il resto invece e’ un po’ confuso; ci aiutiamo con la foto e cerchiamo di capire dove andare. Alla fine a me sembra abbastanza ovvia la linea da prendere; ci avviamo tranquilli verso questa prima bastionata rocciosa e dopo un primo pendio un po’ piu’ sostenuto anche Luigi si ferma per ramponarsi gli scarponi.

Qui ci separiamo; Luigi affronta direttamente un primo canalino di neve mentre io mi avventuro sulle roccette a sinistra, per fare un po’ di pratica di arrampicata con i ramponi. Respiro a fondo in un paio di tratti perche’ queste punte non mi danno molta confidenza, ma tutto sommato vado tranquillo. Sbuco alla fine del canalino che Luigi sta affrontando con le due picche, e mentre lo aspetto mi accorgo di qualche sasso che ogni tanto rotola giu’, liberato dalla neve che si sta sciogliendo. Inizio a pensare all’orario, e al sole che si sta spostando per illuminare questo versante Ovest che finora e’ sostanzialmente rimasto all’ombra. Non mi piace il sole in questo momento, vorrei che restasse lontano da noi; cosa che non faccio mai quando sono su roccia, prego che le nuvole ci tirino un po’ su la coperta.

La via ci sembra abbastanza ovvia; iniziamo ad arrampicare con gusto su per il canale che ogni tanto s’impenna un po’ di piu’ e mi costringe ad usare le due picche col tipico movimento aggressivo da piolet traction anziche’ in appoggio. Ogni tanto guardo giu’ e mi accorgo di quanto vuoto c’e’ sotto; sono consapevole della mancanza di qualsiasi sicura, ma inaspettatamente picche e ramponi mi danno una sensazione di sicurezza che accolgo felicemente; continuo a divertirmi insomma e prendo gusto nell’andar su; il sole adesso inizia a battere forte e la neve sembra sempre piu’ molle.

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Oltrepasso un altro punto dove la pendenza si fa importante (penso sia uno di quei punti che la relazione dava a 50 gradi); la neve e’ scappata via ed e’ quasi tutto ghiaccio qui; mi devo impegnare parecchio per superarlo, e intanto Luigi prosegue davanti. Dopo questo passaggio difficile allungo lo sguardo su e vedo Luigi bloccato in un punto, dove il canale si restringe ad un saltino di un metro e mezzo forse, contornato da roccette dall’aspetto non rassicurante. Si tratterebbe di un passaggio anche banale, perche’ basterebbe ancorarsi con le picche al di la’ del salto, portar su il piede e spingere su per scavalcare l’ostacolo; Luigi prova una prima volta a ficcare le picche sopra il muretto ma la neve non tiene per niente; non appena le carica un po’ scappano via.

La situazione a questo punto diventa molto delicata perche’ siamo ben consapevoli delle conseguenze di una banale scivolata su un terreno simile; sotto di noi non c’e’ niente che possa fermarci, un pendio simile ti farebbe schizzare giu’ nel precipizio, reso particolarmente evidente, dal nostro punto di vista, da quel tratto a 50 gradi che taglia completamente la visuale e ci mostra solo un bel po’ di vuoto e la vallata sottostante.

Luigi prova una seconda volta a portarsi su usando le picche ma scivola per una frazione di secondo e riesco ad equilibrarlo piantandogli la mano sotto il sedere; capiamo che il
risalto di ghiaccio e’ da lasciar perdere, e allora ci concentriamo sulle rocce. Ma sia a destra che a sinistra la situazione e’ davvero poco incoraggiante; qui la roccia perde pezzi solo ad appoggiarci la mano; sulla sinistra si vedono delle scaglie inclinate verso il basso che non mi fiderei proprio a metterci su i miei ramponi poco avvezzi al misto; a destra probabilmente potrei provare ad spingermi su ma devo sforzarmi di non pensare alle conseguenze di un tentativo andato male — perche’ il vuoto dietro di me si fa insistente e inizio a sentire quella sensazione di terrore che ti chiude lo stomaco.

Punti dove piantare chiodi o cordini non ce ne sono; la roccia e’ tutta marcia; la neve si fa visibilmente piu’ molle col passare del tempo. Propongo allora di disarrampicare giu’; anche se riuscissimo ad oltrepassare questo punto potremmo trovarci nuovamente nei guai piu’ su, specialmente considerando le degradanti condizioni della neve; ma e’ sopratutto il rischio di questo passaggio che non mi fa star sicuro e mi spinge a voler tornare indietro. Disarrampicare non e’ una cosa che viene naturale, ed e’ una cosa che mai avrei voluto fare; ma in simili condizioni la vedo come la scelta piu’ sicura. Luigi e’ molto indeciso ma alla fine si convince anche lui.

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E qui inizia una lunghissima discesa in cui mi costringo ad usare tutta la concentrazione di cui sono capace; ogni passo e ogni mossa la rifinisco e la correggo per non lasciare nulla al caso; non penso a niente, tranne che a piantare due, tre volte lo scarpone nel muro, fare un bel buco, caricare il peso e valutare se regge o no; ripetere con l’altro scarpone; spostare giu’ prima una picca e poi l’altra, conficcarle per bene e caricarle preventivamente; e questo ripetuto ogni cinquanta centimetri di discesa. Non mi faccio distrarre dal passare del tempo ne’ dal pauroso vuoto che vedo sotto i miei piedi; penso solo a conficcare per bene i ramponi e le piccozze e fidarmi di loro.

Anche Luigi lo vedo teso e concentrato, scendiamo oltre il tratto ripido e continuiamo sempre con estrema lentezza; mi fanno male i palmi delle mani sopratutto; dopo qualche tempo (minuti ? ore ?) mi accorgo di non essere piu’ concentrato sull’azione e allora mi forzo a pensare solo ed esclusivamente all’azione meccanica di mani e piedi. Mi rendo vagamente conto che il terreno e’ diventato piu’ facile; sento Luigi che accellera giu’ ma io continuo ad andare piano, esasperatamente piano (ma io non lo sento ‘esasperato’; so che mai come in questo momento devo continuare a usare il mio passo che mi ha permesso di arrivare fino a questo punto). C’e’ un ultimo tratto bastardo, nuovamente un tratto a 50 gradi con ghiaccio sottilissimo;
Luigi dal di sotto mi avvisa di dove attaccare questo punto per evitare di beccare la roccia; qui mi accorgo di usare tutta la concentrazione che mi ritrovo, e dopo averlo superato non riesco a
trattenere un urlo di sollievo.

Sembra quasi fatta; possiamo scendere faccia a valle, ma poi ci troviamo di fronte all’ultimo ostacolo; un risalto di roccia, quello che all’inizio Luigi aveva superato direttamente per attaccare subito dopo il canale mentre io avevo aggirato sulla sinistra arrampicando sulle roccette. Questo risalto sara’ di 5-6 metri, anch’esso naturalmente friabilissimo e pericoloso. Arrampicare in discesa con i ramponi e’ troppo delicato e difficile per me; Luigi tira fuori i suoi chiodi e trova una fessura, molto instabile, dove pianta giu’ il chiodo.

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Allestisce una doppia e si prende l’incarico di provarla lui per primo; si allontana dal chiodo (che io fisso sperando e pregando che non scappi via) e poi sul ciglio del salto inizia a caricare lentissimamente la corda; il chiodo tiene, scende giu’ sano e salvo. Do’ un’ulteriore martellata sul chiodo adesso, che un po’ si e’ sfilato evidentemente, e gli faccio una foto; adesso tocca a me, e nonostante pesi quasi 15kg meno di Luigi non riesco a fidarmi e provo per dieci minuti a scendere disarrampicando. Ad un certo punto mi accorgo che non ce la faccio proprio a scendere con le mie capacita’ e mi affido alla corda. E’ un grosso, grossissimo passo che mi mozza il respiro; ma il chiodo continua a tenere, e arrivo anch’io giu’.

Sono forse le 19.30 quando arriviamo alla base del canale; mangiamo una mezza barretta a testa e iniziamo il lungo viaggio di ritorno. Sono ore di cammino al crepuscolo e poi nella notte piena lungo questo sentiero interminabile. Luigi e’ molto provato, anche per via del suo solito ginocchio.

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Arriviamo all’auto a mezzanotte e mezza. A Milano arrivamo alle tre del mattino.